tratto da Ariminum (Marzo-Aprile 2023)

di Alessandro Giovanardi

È nata per l’editore Pazzini di Verucchio una pregevole collana intitolata “Arti e Teologie” che declina al plurale i due sostantivi per meglio esprimere la volontà di raccogliere sia le molteplici vie in cui intendiamo l’applicarsi dell’arte sia il discorso insieme contemplativo e intellettuale su Dio, svolto da differenti forme religiose e confessionali. I volumi non hanno solo la pretesa di applicare la ricerca teologica alle arti figurative, come se fossero una sfera spirituale a sé stante, ma di considerare queste ultime come un modo in cui il discorso di Dio si rivolge all’uomo, non meno importante di quello attuato nella Scrittura o nella Tradizione. In effetti, l’opera d’arte non risulta mai una semplice didascalia visiva di un testo biblico, agiografico o mistico, ma è un’esegesi, un’operazione ermeneutica che l’artista svolge sulla Parola di Dio stessa, sollecitato dai committenti e dai loro consiglieri (spesso fini teologi, dotti umanisti). Dalla collana colgo un solo frutto benché molto pregiato: il volumetto Tesori nascosti. Le icone del Museo Diocesano di Brescia scritto da Emanuela Fogliadini, dottore di teologia e di storia delle religioni e accurata interprete dell’arte sacra bizantina e russa. La Fogliadini è, nella vita come nello studio, sodale del celebre François Boefsplug (teologo, storico dell’arte e delle religioni) che, per la stessa collana ha pubblicato il succoso saggio Gesù tra i Dottori nell’arte; Boefsplug e Fogliadini, infine, con Giorgio Agnisola e Natalino Valentini sono i direttori della stessa collana. Propongo ai lettori, proprio questo volume perché mi sembra un eccellente esempio dove si coniugano sapientemente ricognizione storica, attenzione museografica ed esegesi teologica. L’Autrice si occupa di una collezione d’icone russe del Museo Diocesano di Brescia, appartenenti all’età moderna e contemporanea (XVII-XX sec.), a dimostrazione della vitalità di una tipologia di manufatti sacri (le tavole a tempera e oro su tavola) che tramontano in Occidente al passaggio dal XV al XVI secolo, mentre nell’universo cristiano orientale e, in particolar modo, bizantino-slavo proseguono senza soluzione di continuità fino ai giorni nostri. Le icone testimoniano la vitalità di un’arte e di un artigianato totalmente sacri che l’Europa dell’ovest vede tramontare definitivamente tra XVIII e XIX secolo (fatti salvi i revival romanici, gotici, primitivi).

Nello studio di queste singole tavole la Fogliadini omaggia tutta la vastità e la profondità dei suoi studi dedicati alla dottrina biblica, patristica e conciliare dell’immagine dipinta, alla legittimazione del culto che le si rivolge come manifestazione dell’incarnazione del Verbo di Dio, il Logos incircoscrivibile che si circoscrive nel grembo della Madre e assume la visibilità della materia, del corpo e della carne, permettendone la trasfigurazione. Opera di famiglie, se non di interi villaggi consacrati a quest’arte, l’icona russa discende da un insegnamento sacerdotale e monastico in cui la dottrina e l’esperienza dei Santi si trasmette come una viva linfa nel disegno e nei colori della tavola e nella forza stessa dei materiali impiegati (come insegnano Pavel Florenskij o John Lindsay Opie). All’ampia bibliografia sul tema Emanuela Fogliadini aggiunge ora un tassello prezioso dedicato a un periodo della storia dell’immagine ortodossa spesso trascurata dagli storici e dalle istituzioni museali (ma non da Brescia).

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